Influenza genovese nel nascente Monferrato
omunque, sulla soglia degli anni cinquanta, Genova in poco più di quarant’anni ha costruito e ancora costruisce un sistema d’influenza e presenza politica, economica e militare nell’Oltregiogo; un sistema perfezionato nell’accordo con Pavia e l’assenso, più o meno spontaneo, di Tortona, la quale assicura alla Superba il controllo del territorio intermedio, in condomio con l’alleato pavese.
In questo nascente Monferrato, che fino ai primi decenni del secolo XII non si sa ancora bene che cosa sia, perché caratterizzato da una «indistinta confusione», da un «curioso complesso patrimoniale tra allodio e feudo», da un «incoerente aggregato di terre, di castelli, di ville e di borghi» (A. A. Settia), la penetrazione genovese contribuisce a chiarire il quadro: comincia a porre alcune linee di struttura, a prefigurare un insieme organico, ad intessere una rete di rapporti tra la famiglia marchionale monferrina e le rotte dell’Oltremare che portarono lo stesso Guglielmo il Vecchio a partecipare alla seconda crociata nel 1147, aprendo agli Aleramici un’attività politica verso il Levante, che perdurerà fino ai postumi della quarta crociata.
L’intervento di Federico I Barbarossa in Italia nel 1154, con la rottura degli antichi schemi e l’apertura di nuovi schieramenti tra Comuni e Comuni, tra contado e città, apre la crisi in un sistema che cominciava a configurarsi nelle sue linee essenziali secondo direttrici persistenti da tempo antichissimo. Nel parteggiare delle fazioni si mutano i rapporti di potere: la frequenza degli scontri e delle tregue, delle alleanze e delle diserzioni rende instabile il quadro politico. La profondità e l’ampiezza della lotta portano alla luce, esaltandole, anche le minori forze locali, che rendono complesso il panorama.
Pavia, città regale per storia e tradizione, ed il Monferrato, di origine e vocazione feudale, si schierano con l’Impero; Asti e Tortona, «piazze» mercantili di produzione e di transito, aderiscono alla parte opposta, che fa capo a Milano, e sono occupate e devastate nella campagna federiciana del 1155. Il sistema economico-stradale tra la Riviera ligure, la valle del Tanaro e la valle del Po, basato sull’accordo tra Genova e Pavia, con l’assenso, più o meno spontaneo, di Tortona e dei signori feudali della zona, subisce un durissimo colpo. Genova si lega per trattato con Milano e Tortona nel 1156, con Novi nel 1157, progettando il collegamento con Milano attraverso la Lomellina, con Piacenza tramite Tortona, e cercando di costruire un blocco di forze tra la valle Scrivia e la valle Bormida. Ma la nuova struttura politico-economica, che i Genovesi hanno tentato di porre rapidamente in atto nella val Padana, articolandola su Novi e Tortona, non regge alla prova.
Nel 1158 noi vediamo gli uomini di Gamondio, Marengo e Bergoglio schierati, non sappiamo se volenti o nolenti, fra le truppe imperiali che assediano Milano. La quale è colpita duramente nel 1162; così pure Tortona nel 1163, insieme con Castelnuovo Scrivia, mentre Pavia dilaga nel Tortonese ed ottiene dall’imperatore nel 1164 il riconoscimento di diritti nell’area da Castelnuovo Scrivia a Savignone, da Fabbrica Curone a Bosco Marengo, compresa Novi. Similmente il marchese di Monferrato riceve l’assegnazione o la conferma di Gamondio, Marengo e Foro: un fatto che sarà forse elemento determinante nell’azione per cui nel volgere di tre anni Gamondio e Marengo saranno in prima linea e addirittura i promotori della fondazione delle civitas nova di Alessandria.
Genova stessa si trova in posizione difficile. Nei riguardi dell’Impero la città teme il Barbarossa, intollerante delle libertà comunali e collegato con Pisa, eterna rivale dei Genovesi: la preoccupazione è tale che la Superba attua la costruzione della cinta muraria del 1155-59. Essa non può tuttavia dimenticare i suoi forti interessi in Sicilia, dove si appuntano i progetti federiciani sulla Corona dell’isola, e dove invece la Repubblica stipula nel 1156 un trattato con il re Guglielmo I, che si appoggia, a sua volta, su Manuele Comneno di Costantinopoli, stretto ai Genovesi da accordi conclusi nel 1155. La politica del doppio binario diventa per la Superba quasi una imprescindibile necessità: la città, che nel marzo del 1162 ospita il papa Alessandro III, in fuga da Roma – dove si è insediato l’antipapa Vittore V, sostenuto dal Barbarossa, – tratta nel contempo con quest’ultimo, il quale necessita della flotta genovese, come di quella pisana, per la progettata impresa siciliana, e promette grandi compensi ai Genovesi nell’isola con il trattato del 9 aprile 1162, mentre concede – ed è per Genova un fatto importante, forse più ancora che i promessi acquisti, in Sicilia – la districtio su tutta la Liguria da Monaco a Portovenere, sulla quale si baseranno le future rivendicazioni dei Genovesi nell’espansione regionale.
Non basta. Nel 1164 Genova agisce come intermediaria tra l’imperatore e il giudice Barisone di Arborea, che aspira alla corona regale di Sardegna, il cui conferimento spetta all’Impero, secondo la teorica romanista federiciana. La Repubblica, inseritasi nelle trattative tra le due parti come finanziatrice di Barisone per il prezzo a lui richiesto dall’imperatore diventa l’arbitra della situazione. Intanto nel Mediterraneo si perpetua la guerra di Genova con Pisa, motivata originariamente dall’attacco pisano all’embolo genovese in Costantinopoli.
Proprio in forza di queste rinnovate vicende sul mare Genova non può dimenticare la prospettiva della val Padana ed i rapporti con Milano, importanti anche per i suoi commerci transmarini. La caduta di Novi e di Tortona in potere di Federico e la prevalenza di Pavia filoimperiale in funzione antimilanese hanno reso precario il movimento dei traffici genovesi per la Lombardia e per Piacenza anche attraverso la val Borbera e lungo la bassa valle Scrivia. A questo punto Genova non può più disinteressarsi della eventualità di un blocco signorile-feudale che le precluderebbe lo sbocco sul Tanaro e sul Po. Non può più non preoccuparsi della posizione di forza acquistata da Pavia, collegata al Monferrato, fedele dell’Impero sul piano politico e militare: la minaccia è ulteriormente accresciuta quando nel 1166 il castello di Parodi viene sottratto al dominio della Superba da una trama ordita dai marchesi del luogo, da quelli di Gavi e dal Monferrato.
Alla Lega Lombarda del 1167 interessa provocare la spaccatura territoriale del Monferrato in due tronconi lungo la valle del Tanaro, se la Lega stessa vuole garantirsi la libertà dei rapporti con Asti. A Genova preme tenere aperto il libero scambio con Milano, indipendentemente dalla possibilità di blocco che è in mano di Pavia, cioè lungo il percorso per la Lomellina.
L’insofferenza per le strutture feudali, che lo scontro tra l’imperatore e gl’insorgenti Comuni ha determinato anche nel ceto agrario, le aspirazioni associative dei nuclei rurali, che la proiezione d’istanze economiche nuove e di ricerca di traffico che pervadono il contado, prospettano alla Lega e, di riflesso, alla Repubblica del Tirreno opportune, anzi tempestive possibilità di stimolo, d’intervento, di coordinazione.
Anche Genova sa, per le esperienze acquisite in Liguria, in Provenza, in Sardegna, in Oltremare, come suscitare fermenti ribellistici, determinare moti più o meno spontanei nella richiesta di nuovi ordinamenti di governo. L’area della confluenza tra la Bormida ed il Tanaro, nel cuore del Monferrato, dove confinano i limiti di diocesi diverse, di diverse professioni di obbedienza tra papa ed antipapa, e dove una serie di curtes regie controlla il territorio, ora in armonia ora in dissonanza con gl’interventi sia marchionali sia imperiali, rappresenta un settore facilmente vulnerabile.